Pagazzano, la fortezza che offrì rifugio a Petrarca

Cosa può accomunare un paese della bassa pianura bergamasca, teatro di violenti scontri tra le fazioni più disparate dal Medioevo al ‘700, e il grande poeta toscano Francesco Petrarca che ha condiviso con generazioni di studenti il proprio amore per Laura? Un castello. Ovviamente non un castello qualunque, ma lo splendido maniero di Pagazzano, appartenuto per secoli alla potente famiglia dei Visconti, duchi di Milano, che ha superato il trascorrere del tempo in modo egregio, tanto da presentarsi ai nostri occhi come la fortezza che abbiamo sempre sognato da bambini con le torri, il fossato pieno d’acqua e il ponte levatoio. Al Castello di Pagazzano sono ancora ben visibili e molto ben conservate tutte le caratteristiche della tipica fortezza militare.

Le mura sono imponenti, i ponti levatoi ancora funzionanti

Già a un primo sguardo dall’esterno, non si può non rimanere impressionati di fronte all’imponenza delle mura in laterizio, ai due ponti levatoi ancora perfettamente funzionanti, alle merlature a coda di rondine (coperte da tettoie di tegole al termine del conflitto tra guelfi e ghibellini per “mascherare” l’antico schieramento a favore dell’imperatore), alle torri quadrate, compresa la più alta, quella di vedetta, e al Mastio.

E nel fossato c'è ancora l'acqua, difesa naturale contro gli invasori

Un elemento molto interessante è il fossato difensivo che si presenta ancora colmo d’acqua, unico nella bergamasca. Situato in una zona di confine tra le province di Bergamo, Milano e Cremona, venne edificato nel Medioevo con funzioni difensive per ospitare guarnigioni di soldati, con il loro comandante (il castellano) e i suoi familiari. Le frequenti lotte per il predominio sul ricco e strategico territorio, prima tra i Comuni di Bergamo e Cremona e, successivamente, tra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica di Venezia, favorirono la proliferazione, in tutta la bassa bergamasca, di costruzioni in cui cercare e trovare protezione. I borghi fortificati, i castelli, le case torri, le rocche e i palazzi che sono rimasti, raccontano, con le loro ferite e i loro trionfi, la storia delle popolazioni che hanno abitato quei territori. Verso la metà del ‘300 Bernabò Visconti ereditò il territorio della cosiddetta “Gera d’Adda” (racchiusa tra i fiumi Adda e Serio) e per rafforzare il proprio dominio ordinò la demolizione di buona parte dei castelli fatti erigere dai vari signorotti locali risparmiando soltanto quelli passati sotto il diretto dominio visconteo, tra i quali, fortunatamente, il nostro. Bernabò dispose la sistemazione del Mastio e del Palatium Castri (l’ala nord-est del castello) molto probabilmente per rendere più confortevole la permanenza nel maniero del sommo poeta toscano Francesco Petrarca, che accolse di buon grado l’ospitalità offerta dai Visconti risiedendo a Milano per ben undici anni. Petrarca non fu per i Visconti solo un celebre intellettuale di corte ma collaborò, con missioni ed ambascerie, all'intraprendente politica estera viscontea per cui erano soliti concedere al grande letterato lunghi soggiorni meditativi nelle loro dimore milanesi e in altre località sulle quali avevano esteso il proprio dominio.

Nel 1358 Petrarca era qui a correggere i suoi Tionfi

Località in cui regnavano il silenzio e la solitudine tipiche dell’atmosfera campestre e che favorivano l’ispirazione creativa del poeta. Tra queste dimore va annoverato, ormai con certezza, anche il Castello di Pagazzano. Il ritrovamento su un manoscritto ben noto agli studiosi di una nota autografa, in capo a un verso de “I Trionfi” e nella quale il poeta indica esplicitamente di trovarsi il ”12 settembre del 1358 in Pagazzano” nell’atto di correggere il suo componimento, non lascia spazio a dubbi e perplessità. Sicuramente vi dimorò anche l’anno seguente. I Visconti, Duchi di Milano, sono però noti più per la loro crudeltà e fama di potere che per il mecenatismo e le popolazioni che subirono il loro dominio ne ebbero contezza, pagazzanesi compresi.  Verso la metà del  ‘500 il castello passò a Galeazzo Visconti, arciprete del paese, il quale attuò una serie di modifiche che lo resero una splendida dimora signorile cinquecentesca e, contemporaneamente, si appropriò, però, dei beni della parrocchia, donandoli illecitamente in eredità ai suoi parenti. Il suo successore, Don Defendente de’ Regibus, accortosi dell’inganno, denunciò il fatto al Senato di Milano per ottenere giustizia ma ricevette, in cambio, un agguato mortale da parte di un sicario assoldato dai Visconti. Anche allo stesso sicario non fu garantito un trattamento migliore: come ricompensa ricevette una fucilata nella schiena che zittì per sempre ogni eventuale pentimento o testimonianza. Il forte legame del paese di Pagazzano con la famiglia dei Visconti e il clima di timore costante da parte della popolazione, sono stati evidenziati anche in un altro capolavoro della letteratura italiana: “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. L’autore prese spunto da alcune notizie storiche e le trasportò nella propria opera creando la figura più ambigua e misteriosa del romanzo: l’Innominato. Anche per “velata” ammissione dello stesso autore, è ormai certo che dietro al personaggio si celi Francesco Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Gera d'Adda che aveva numerosi possedimenti terrieri a Pagazzano.

Anche i "Bravi" dei promessi sposi passarono da qui?

Si tramanda che, sempre durante il dominio visconteo, il signore del Castello, a volte, inviasse i suoi uomini (alcuni parlano dei “Bravi” di manzoniana memoria) nelle cascine e sui campi di Pagazzano e dei villaggi confinanti a compiere le consuete ruberie e a rapire giovani avvenenti fanciulle. La leggenda narra che, dopo gozzoviglie e violenze, queste venissero “fatte sparire” nei pozzi del castello. Effettivamente sono stati trovati almeno tre pozzi interrati. Alla morte di Galeazzo, la struttura fu venduta alla famiglia milanese dei Bigli che cercò di renderla una villa padronale di tutto rispetto, provvedendo a tale scopo alla costruzione di un loggiato e di un particolare scalone a ventaglio e arricchendo le sale con numerose decorazioni. Nel 1828 la marchesa Fulvia Bigli lasciò il castello in eredità al marchese Paolo Crivelli che utilizzò la struttura come azienda agricola, mantenendone la proprietà ed esercitando il diritto di mezzadria addirittura fino al 1974. Nel 2000, il castello venne acquistato dal Comune di Pagazzano, che lo restituì alla popolazione togliendogli finalmente quell’aura di luogo temuto ed elevandolo a incubatore d’arte, di bellezza e di memoria. Tanti i sacrifici compiuti, non solo in termini economici per la ristrutturazione di alcune porzioni dell’edificio, ma anche in termini di energie dedicate da numerosi volontari per animare, promuovere e restituire al maniero l’antico splendore.

Alcune delle antiche stanza ospitano il museo contadino

Una visita guidata della durata di almeno un’ora conduce il visitatore alla scoperta delle strutture interne ed esterne. Tra gli spazi interni si attraversa una serie di ambienti a uso residenziale impreziositi dal “Museo della Civiltà Contadina”, che racchiude oggetti e antichi strumenti di lavoro, provenienti da privati cittadini e, in parte, trovati all’interno del Castello. La raccolta è composta da oltre 2000 reperti a testimonianza di un’economia agricola legata al territorio e al maniero: le abitazioni del fattore e dei coloni, le stalle, le scuderie, i granai, la ghiacciaia, le cantine e i depositi per gli attrezzi ne suggellano la funzione assunta nei secoli. In un’ala del castello è stata realizzata una particolare mostra interattiva. Si accede attraverso le scuderie, sulle quali vengono proiettate immagini dei castelli dei dintorni, e si procede al piano superiore dove è stato realizzato, sempre tramite proiezioni, un interessante e immaginario dialogo tra Bartolomeo Colleoni e Gian Galeazzo Visconti. Spettacolare, inoltre, il grande torchio utilizzato per la spremitura delle uve, anch’esso valorizzato da una bella proiezione virtuale sulle pareti del salone e sul torchio stesso.

Ma è nei sotterranei che i visitatori vivono le emozioni più grandi...

Piacevole la visita ai sotterranei, al Palazzetto (ancora da restaurare con splendidi affreschi nascosti) e al Mastio con tanto di principessa che vi attende alla fine della lunga scala a chiocciola per raccontarvi una parte della storia del castello.

... alla ricerca del passaggio segreto che  portava nelle misteriose prigioni

Compresa la presenza di un ipotetico passaggio che dal Mastio portava a un luogo segreto che fungeva da carcere.

L'ultima magia del castello? Riuscire a ospitare il ...Mago

Per completare l’opera museale e culturale, il Castello ospita il Mago (Museo archeologico delle grandi opere), che espone preziosissimi reperti archeologici venuti alla luce durante gli scavi per la realizzazione dell’autostrada BreBeMi e della linea ferroviaria Alta Velocità. Tra di essi, quelli della grande necropoli longobarda rinvenuta a Fara Gera d’Adda. Il castello di Pagazzano è aperto al pubblico la prima e la terza domenica di ogni mese (tranne agosto), dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 18. Le visite guidate sono organizzate ogni mezz’ora. www.castellodipagazzano.it

Testo realizzato da Elisabetta Longhi per www.ilmadeinbergamo.it

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2 Risposta

  1. L’articolo sul castello di Pagazzano mi è piaciuto. Due inesattezze: 1) una delle necropoli in cui sono stati trovati i reperti della BreBeMi non è Fara Gera d’Adda ma Fara Olivana.2) Il personaggio che dialoga con Bartolomeo Colleoni non è Gian Galeazzo Visconti ma Bernabò Visconti

  2. A volte andiamo a cercare emozioni a centinaia di chilometri di distanza e le abbiamo a una manciata di chilometri da casa…..

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