Atalanta, la maledizione della Prima Coppa

L'Atalanta degli ultimi anni, quella dell'"era Gasperini", del Papu Gomez e di Ilicic, di Duvan Zapata e di Muriel, della Champion in cui la "Dea" non solo non è stata una semplice "comparsa" ma una  delle grandi protagoniste,  capace di entrare in scena senza alcun timore riverenziale al fianco di stelle di prima grandezza, di sfidare nei più grandi "teatri" del calcio  un club di giganti come il Paris Saint Germain e "rischiando" addirittura di far finire anticipatamente Mbappè, Neymar e compagni nei titoli di coda, ha regalato ai tifosi emozioni mai assaporate prima. Ma c'è stata un'"altra Atalanta" in passato, capace di imprese destinate a lasciare il segno. E successo  giusto 60 anni fa quando, il 2 giugno 1963,  l'Atalanta vinse quello che, fino a oggi, è l'unico trofeo della sua storia: la Coppa Italia. Un'eccezionale avventura sportiva, iniziata nel settembre 1962, e conclusasi con il 3-1 a San Siro contro il Torino, che non fu però mai festeggiata perché il giorno seguente, il 3 giugno, sarebbe scomparso  Giovanni XXIII, il Papa bergamasco, facendo cancellare ogni celebrazione  in segno di lutto.  A far rivivere oggi quella straordinaria avventura è un libro, “L’anno della Coppa”,  scritto da Stefano Serpellini, inviato del quotidiano l’Eco di Bergamo, e pubblicato da Bolis Edizioni (pp 160, 16 euro).  Un libro (che  verrà presentato il 24 maggio alle 18,30 alla biblioteca sportiva “Nerio Marabini”, in via Libertà 29 a Seriate) che tra storie, ritratti, testimonianze e ricostruzioni storiche, impreziosite dallo stile di scrittura di Stefano Serpellini, capace di compiere, alla tastiera, "giocate" da autentico campione, ripercorre le vicende della stagione calcistica 1962-63, intrecciandole , (con un tocco da fuoriclasse, appunto) al racconto dell’ultimo periodo del rivoluzionario pontificato di Angelo Giuseppe Roncalli. Un viaggio a ritroso del tempo che, pagina dopo pagina, vede "salire a bordo" i cinque "sopravvissuti "che disputarono la finale: Angelo Domenghini, che di quella partita fu il protagonista con la sua tripletta, Pierluigi Pizzaballa, Giorgio Veneri, Mario Mereghetti e Alfredo Pesenti che da più di mezzo secolo aveva scelto di non parlare più pubblicamente di Atalanta, "fotografando"  un vero e proprio "album di famiglia nerazzurra"che, come  scrive nella prefazione l’editorialista e scrittore Gigi Riva, "restituisce uno spaccato di come eravamo che eccede lo sport". Grazie proprio al "copione" che mette in scena, in contemporanea, insieme ai campioni  sportivi (non ancora tatuati, che nella prima parte della carriera, come  è accaduto a Domenghini e a Pizzaballa,  lavoravano in fabbrica o in drogheria al mattino e andavano ad allenarsi nel pomeriggio e che giravano su Fiat 600  - e non su Porsche o Ferrari -  spesso di nascosto perché la società temeva incidenti e perché a qualche padre quelle utilitarie parevano spese folli e insensate) la figura potente di Papa Giovanni. Un papa che, osserva Stefano Serpellini, "non è un pontefice qualunque: è quello del Concilio Vaticano II; è l’autore di due encicliche di rara potenza politica e sociale come Mater et Magistra e Pacem in Terris che a sessant’anni di distanza potrebbero valere, parola per parola, ancora oggi; è colui che ha contribuito a sventare il conflitto nucleare tra Usa e Urss durante la crisi dei missili di Cuba. Ma per la gente è soprattutto il Papa Buono, quello del Discorso della Luna, della carezza ai bambini, delle visite ai carcerati e ai malati in ospedale, il Papa degli ultimi e dei deboli che, dietro il sorriso bonario, da parroco di campagna, ha avuto la forza di plasmare la Chiesa, riavvicinandola al Vangelo e togliendo la polvere curiale dai suoi protocolli". Un libro capace di seguire due binari paralleli,  seppur intrecciati: quello felice dell’Atalanta verso la conquista della Coppa e quello di un Papa che, sereno, si avvia verso la fine. Ma an che di rappresentare un altro "parallelismo": quello  fra il clima di costernazione che avvolge un Paese intero di fronte all’agonia di Giovanni XXIII e il clima altrettanto di tristezza, senso d'impotenza, timore e disperazione, vissuto esattamente 60 anni dopo, con la squadra di Gasperini vittoriosa, il 10 marzo 2020, a Valencia per 4-3, in una gara destinata a  portare i nerazzurri al loro picco storico, i quarti di finale di Champions League contro il Paris Saint Germain, ma disputata in uno stadio vuoto e con l'intera popolazione  tappata in casa, terrorizzata dallo "spettro" del Covid-19. Un dettaglio dal quale traspare, proprio come un fantasma,  una sorta di maledizione per l’Atalanta e i suoi tifosi, impossibilitati dal destino a celebrare i punti più alti della storia nerazzurra.  La maledizione della prima luna è il titolo di un celebre film di pirati con protagonista Johnny Depp: la maledizione della prima coppa rischia di diventare invece uno sgraditissimo  "marchio di fabbrica" per una squadra incapace, da 60 anni di ripetere un successo. Per cancellarlo basterebbe  però anche un solo nuovo trionfo (che Gasperini & Co meriterebbero come pochi altri). S'intende, facendo i debiti scongiuri, senza lutti in Vaticano e succursali e senza nessun'altra pandemia....

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